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ITALIA paese Telecom ITALIAUNA FACCIA UNA RAZZA

La TIM ha sempre seguito le orme del sistema paese nel bene e nel male. Se negli ultimi vent’anni si è mostrata neoliberista (concedeteci il termine), oggi scruta con apprensione la nuova linea governativa protezionista. Ma dove ci condurrà tutto ciò? Iniziamo a riflettere su questi fatti

 

Innanzitutto, riassumiamo schematicamente di seguito le analogie tra il Paese Italia e Telecom Italia:

 

 

SECONDA REPUBBLICA

 

 

AZIENDA E OO.SS.

 

1992

Si scarica il presunto “risanamento” sulle spalle dei cittadini riducendo sensibilmente i diritti pensionistici, sanitari e assistenziali. Il tutto, continuando ad incrementare il debito nazionale, 70% in mani italiane e 30% in mani straniere e aumentando i privilegi della casta (pensioni, vitalizi e bonus ai partiti e parlamentari in barba al referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti)

Azienda e OO.SS., responsabilmente con l’Accordo Interconfederale del luglio 1993, “massacrano” i diritti eliminando la contigenza e aumentando a 4 anni i rinnovi contrattuali; introducono, per integrare il salario, la c.d. produttività che ha notevolmente abbassato la qualità della vita lavorativa effettiva

2000

La riforma Maroni sulle pensioni (2001) riduce i trattamenti pensionistici (destinati a peggiorare ulteriormente con le riforme successive)

La modifica del TITOLO V della costituzione promossa dal centrosinistra carica ancora i costi degli enti locali sulle spalle dei cittadini

Le delocalizzazioni, in stile globalista, vengono prese a modello nazionale di “sviluppo” anche per le aziende che hanno beneficiato di aiuti statali

In Telecom Italia, dopo la fusione per incorporazione delle cinque aziende parastatali e la privatizzazione del 1997, si emana un Piano Strategico industriale del 28 marzo 2000, firmato presso il Ministero del Lavoro (On. Salvi), che prevedeva il risanamento attraverso: CIGS, Mobilità, Cessioni di Rami di azienda, trasferimenti coatti, delocalizzazioni del lavoro all’estero e inutili riorganizzazioni mai cessate che hanno portato la forza lavoro dalle 114.000 originarie alle  circa 45.000 unità attuali (ancora in decremento)

2013

Passando dal Collegato Lavoro del 2008, all’art. 8 della finanziaria 2011 (dove il parlamento abdica ad intervenire in tematiche lavorative in favore dei sindacati), per concludere col renziano JOBS ACT, i diritti del lavoro si tingono di un’impronta anglosassone solo verso i lavoratori, e reinterpretati secondo la moda italica (i vantaggi a me e i costi agli altri)

Prosegue la riduzione dei salari, la precarizzazione lavorativa fino ad arrivare, passo dopo passo, all’apoteosi degli accordi del marzo 2013 dove l’azienda riesce addirittura a concordare con le OO.SS. confederali il lavoro gratuito (franchigia e timbratura in postazione)

Viene eliminato unilateralmente l’accordo di metà contratto (2017)

 

Questo stato di cose ha prodotto nel paese ed in Telecom una rivolta, inizialmente in sordina, e poi sempre più forte, alimentando le opposizioni al c.d. sistema (vedi M5S in Italia e SNATER in Telecom). Il presente che viviamo sta scrivendo oggi il prossimo futuro politico e sindacale: l’iniziale opposizione solo legale o di principio ai poteri costituiti politici e sindacali, che di fatto hanno fallito il loro obiettivo, si sta trasformano in una forza propositiva a tutti i livelli.

In questo contesto TIM, pur passando le “repubbliche”, pur cambiando i dati del consenso tra i lavoratori e i “vecchi” sindacati continua con i soliti riti senza affrontare i temi veri del lavoro in azienda: va avanti a colpi di solidarietà e riduzioni di diritti. Possibile che non si accorga che SNATER ha smontato in tribunale tutto l’accordo madre del 27 marzo 2013 presentato come storico (per loro)? Possibile che non ci sia un cambiamento nelle Relazioni Industriali? Perché far partire la solidarietà mentre un terzo dei lavoratori fa straordinario tutti i sabati, e non solo? Insomma, usando sempre gli stessi strumenti e riferendosi agli stessi interlocutori, ampiamente depotenziati dai lavoratori, dove andrà a finire TIM S.p.A.?

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