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Più incentivi ai contratti di solidarietà «espansivi»
ROMA
I contratti di solidarietà “difensivi” potranno trasformarsi in “espansivi”:

bisognerà sottoscrivere un nuovo accordo con i sindacati, dopo di che il datore di lavoro potrà assumere nuovo personale, in forma incentivata, accollandosi in parte i costi per la riduzione oraria dei lavoratori già presenti in azienda (che non potrà essere superiore a quella già concordata nella fase “difensiva”). Dal canto loro, i dipendenti passando alla fase “espansiva” non avranno ripercussioni sul reddito, mantenendo le stesse integrazioni e la contribuzione figurativa.
Il decreto con i primi correttivi del Jobs act, atteso sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri, si arricchisce di una nuova norma, che corregge il decreto attuativo 148 del 2015, aprendo, soprattutto alle grandi imprese, la possibilità di incrementare gli organici con innesti di nuove competenze. Si prova a valorizzare la nuova solidarietà “espansiva”, ridisegnata dalla riforma Renzi-Poletti, fin qui scarsamente utilizzata da imprese e lavoratori. Oggi con la solidarietà “difensiva” (che serve per evitare i licenziamenti) i datori hanno una serie di paletti per assumere nuovo personale («possono fare contratti solo per profili diversi da quelli interessati dalla sospensione di orario», spiega il giuslavorista, Giampiero Falasca, e comunque sempre con l’ok del ministero del Lavoro); inoltre, per l’Erario questo ammortizzatore è molto costoso, e i lavoratori hanno una parziale reintegrazione in busta paga.
Con la nuova norma preparata dai tecnici del governo si consentirà di trasformare il contratto di solidarietà “difensivo” in “espansivo”. «La trasformazione - spiega Stefano Sacchi, consigliere economico di palazzo Chigi e numero uno dell’Isfol - dovrà riguardare i contratti difensivi in corso da almeno 12 mesi (per evitare comportamenti opportunistici) e quelli stipulati prima del 1° gennaio 2016, a prescindere dal fatto che siano in corso da 12 mesi o meno. La trasformazione inoltre non può prevedere una riduzione d’orario superiore a quella concordata». Per i lavoratori, questa opzione diventa molto più appetibile rispetto a oggi: «Hanno diritto a un trattamento di integrazione salariale di importo pari al 50% della misura di integrazione salariale prevista prima della trasformazione del contratto - aggiunge Sacchi -. I datori di lavoro, invece, dovranno integrare tale trattamento almeno sino alla misura dell’integrazione salariale originaria. Avranno però un incentivo: l’integrazione a loro carico non è imponibile ai fini previdenziali. E i lavoratori comunque beneficiano dell’accredito contributivo figurativo, e quindi non avranno penalizzazioni sulle future pensioni».
In più, la norma prevede che le quote di trattamento di fine rapporto (relative alla retribuzione persa), maturate durante il periodo di solidarietà, restino a carico dell’Inps (o della gestione previdenziale di afferenza) e che il datore è tenuto a versare la metà dei contributi addizionali che avrebbe pagato con la solidarietà difensiva: «Questo è un altro incentivo importante - spiega Sacchi -. Anziché pagare nei 36 mesi il 9%, il 12%, il 15% di contributi addizionali per l’utilizzo dell’ammortizzatore, si pagherà il 4,5%, il 6%, il 7,5 per cento». Le assunzioni di nuovo personale, con il passaggio alla solidarietà “espansiva”, beneficiano degli incentivi previsti dal Dlgs 148, che consistono nella riduzione dei contributi, nei primi tre anni, rispettivamente del 15%, del 10%, e del 5%; o negli incentivi dell’apprendistato (decontribuzione e sotto-inquadramento), se si fanno firmare contratti a lavoratori fino a 29 anni. Questi “bonus” però hanno un vincolo, precisa Sacchi: «Si applicheranno per il solo periodo compreso tra la data di trasformazione del contratto e la sua scadenza. Vale a dire se si fanno 36 mesi di solidarietà difensiva e ne sono trascorsi già 12, se si trasforma il contratto in solidarietà espansiva si avranno incentivi per i restanti 24 mesi».
Un altro capitolo del Dlgs sono i voucher. Contro gli abusi, il governo intende cambiare la procedura d’utilizzo dei buoni lavoro, stabilendo che almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione lavorativa, con un sms o con la posta elettronica, il committente, imprenditore o professionista, comunichi alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando anche luogo e durata dell’impiego accessorio. In caso contrario, scattano multe da 400 a 2.400 euro per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.
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Giorgio Pogliotti
Claudio Tucci