È quanto emerge dall’indagine realizzata dal Centro Studi Corrado Rossitto dell’associazione sindacale Ciu-Unionquadri che ha individuato la platea potenziale. La presidente Gabriella Ancora: “Emergono zone d’ombra che, se non curate, potrebbero causare serie conseguenze in termini di conflitti”

da corrierecomunicazioni.it

I tempi sono maturi, ma bisognerà sanare alcune criticità: è una fotografia in chiaro scuro quella scattata nel rapporto “Il lavoro agile” (qui lo studio completo) realizzato dal Centro Studi Corrado Rossitto dell’associazione sindacale Ciu – Unionquadri, che tutela i quadri nel settore privato e pubblico, ma anche i ricercatori, i professionisti dipendenti ed il mondo delle professioni.

I tempi sono maturi per coniugare le caratteristiche strutturali del lavoro subordinato con un’ampia autonomia creativa ed organizzativa del prestatore di lavoro, consentendogli di non sacrificare le sue necessità ed aspirazioni individuali e di operare con un margine di soddisfazione e di entusiasmo per gli obiettivi aziendali”, si legge nel report da cui emerge però che “non tutte le forme di lavoro si adattano alle caratteristiche del lavoro agile”. Se da un lato l’anno della pandemia ha contribuito a creare una platea trasversale di potenziali candidati per lo smart working, destinata a diffondersi tra le professionalità impiegatizie di base dove è fondamentale la trasmissione e la raccolta di dati e tra quelle di staff o di ricerca o dei professionisti interni, dall’altro c’è ancora da fare sul fronte della formazione del personale, della dotazione degli strumenti tecnologici, di adeguata diffusione sul territorio di spazi dedicati, di predisposizione di dispositivi idonei a garantire la riservatezza dei dati trattati, delle garanzie di sicurezza del lavoro e non ultima della retribuzione dei lavoratori.

“Ad un anno ormai dall’applicazione massiva di questo strumento, il bilancio che emerge dallo studio è senza dubbio quello di un sovvertimento dei canoni tradizionali del rapporto di lavoro, un mosaico composito dove, accanto a indubbi benefici in termini di liberazione di energie in favore dell’economia con un superamento della tradizionale contrapposizione tra famiglia, vita privata e lavoro, emergono delle zone d’ombra che, se non curate, potrebbero causare serie conseguenze in termini di conflitti – sottolinea Gabriella Àncora, Presidente di Ciu-Unionquadri -. Una maggiore libertà di organizzazione e di impostazione del proprio lavoro può giovare anche a quelle professionalità che antepongono la creatività, lo studio e la ricerca al lavoro istituzionalizzato dall’azienda. Mi riferisco ai Quadri per la cui organizzazione è stata svolta la presente ricerca, ma anche ai ricercatori, ai professionisti dipendenti ed a tutte quelle categorie che, seppure subordinate, portino nel loro Dna le caratteristiche dell’impresa e della libera professione”.

L’indagine, oltre a ricostruire la genesi e l’impianto normativo del lavoro agile, si sofferma sulle risultanze di un sondaggio somministrato ad un pubblico molto eterogeneo (dipendenti pubblici, lavoratori di imprese medio-piccole), e i cui risultati non sono stati affatto scontati, soprattutto in relazione alle criticità emerse da questa nuova fenomenologia: un elemento negativo denunciato, ad esempio, è stata l’assenza di un’adeguata formazione (e informazione) sul corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, con la gran parte dei lavoratori che si è improvvisamente ritrovata a dover lavorare da casa senza però ricevere preventive istruzioni o comunicazione alcuna.

Riflettori puntati anche sui rischi relativi alla riservatezza dei dati aziendali: non sempre, infatti  – è emerso dall’indagine – gli strumenti informatici per uso domestico hanno le stesse misure di sicurezza previste invece all’interno dell’azienda, cosa che potrebbe mettere a rischio il patrimonio informativo aziendale. E gli interrogativi più delicati attengono, per gran parte degli intervistati, riguardo ai possibili controlli (necessariamente a distanza) del datore di lavoro, insieme alla tutela dei dati personali del lavoratore.

Ulteriore elemento di riflessione emerso dallo studio quello relativo al possibile divario della forbice sociale all’interno delle aziende. “In tale ambito (e come facilmente intuibile) l’esperimento del lavoro agile emergenziale – si legge nel report – ha confermato che le mansioni che possono essere svolte con maggior facilità senza la necessaria presenza fisica in azienda risultano essere quelle di natura direttiva, amministrativa e, in generale, quelle attribuite a lavoratori più qualificati e meglio retribuiti, palesando in tal modo il concreto il rischio che l’applicazione dello smart working possa fungere da detonatore per acuire ulteriormente le disuguaglianze di reddito e di benessere aziendale”.

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