Covid e smart working: in Europa si discute una normativa che regoli questa formula lavorativa e sancisca il diritto alla disconnessione.

da focus.it

Da quando molti lavorano da casa a causa della pandemia da CoViD-19, lo smart working (o lavoro agile) non è più una fortuna per pochi, ma sta diventando una sfortuna per molti. Se prima veniva desiderato come una modalità lavorativa ideale, grazie alla quale sembrava possibile gestire al meglio famiglia, tempo libero e amicizie, con la pandemia sono venuti alla luce anche gli aspetti negativi: uno tra tutti, quello che pesa di più, è il fatto di finire per non staccare mai e di essere sempre virtualmente disponibili. E-mail a flusso continuo sul cellulare, chiamate a qualunque ora… dove non c’è la cultura consolidata del telelavoro, in smart working tutto sembra concesso (e non dovrebbe).

È per questo che, nel dicembre del 2020, il Comitato per l’Occupazione dell’UE ha richiesto alla Commissione Europea di formulare una legge che sancisca a livello comunitario il “diritto alla disconnessione” dal lavoro. In Francia la legge esiste già dal 2016, ma negli altri Paesi, europei e non, il confine tra vita lavorativa e privata è sempre più labile.

SENZA ORARI. Secondo un’indagine condotta da Eurofund, chi svolge il proprio impiego abitualmente da casa ha molte più possibilità di superare le 48 ore settimanali di lavoro rispetto a chi va in ufficio; quasi il 30% dei telelavoratori ha dichiarato inoltre di lavorare nel proprio tempo libero (fine settimana o fuori orario), contro appena il 5% di chi si reca in ufficio.

«Dopo mesi di telelavoro, molti ora ne accusano gli effetti negativi», afferma l’europarlamentare maltese Alex Agius Saliba, citando isolamento, stanchezza, depressione, malattie muscolari o oculari, oltre allo stress di essere sempre raggiungibili.

PERCEZIONI DIVERSE. Ma, come spesso accade, basta cambiare il punto di vista per ottenere pareri ben diversi: secondo un’analisi di IBM, infatti, otto manager su dieci si dicono convinti di aver supportato i propri impiegati fisicamente ed emozionalmente durante questi mesi di telelavoro, ma poi si scopre che, passando dal lato dei dipendenti, la stessa convinzione è condivisa da meno della metà degli interpellati. L’86% dei capi sostiene inoltre di aver fornito chiare linee guida sul metodo di lavoro da seguire a casa: ma, ancora una volta, non sono dello stesso parere i loro dipendenti, la metà dei quali ritiene di non essere stato adeguatamente formato.

Quel che è certo, è che bisogna trovare un equilibrio tra lavoro e tempo libero: «Il diritto alla disconnessione è sacrosanto, non siamo robot», ha sottolineato lo scorso febbraio Nicolas Schmidt, commissario europeo per il lavoro.

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