Gamberale, De Julio, Di Genova, Bergamini e Pellegrini evidenziano i rischi di una separazione societaria votata ad “accontentare” Bruxelles e auspicano un intervento dell’esecutivo affinché sia Cdp ad esercitare il ruolo di deus ex machina nel riassetto dell’azienda. “L’Italia ha bisogno di recuperare il suo peso nelle Tlc, ne va del Pnrr”

da corrierecomunicazioni.it

Il Governo ha l’obbligo di accompagnare Cassa depositi e prestiti ad esercitare un ruolo completo e radicale nel vero riassetto di Tim, basato sulla riunione delle dure reti di accesso (quelle di Tim e Open Fiber ndr); deve opporsi fortemente all’Antitrust Europea che spinge per una assurda separazione societaria; deve valutare come contenere o limitare i fondi che, in questo anomalo caso, appaiono come mercanti in un tempio strategico per il Paese”: in una lunga lettera pubblicata sul Sole 24Ore cinque ex manager Tim si appellano al Governo affinché si trovi una strada alternativa alla separazione societaria identificata come perno del nuovo piano industriale di Tim che sarà presentato il 2 marzo.

A firmare la missiva sono Vito Gamberale, ex Ceo Tim, Umberto de Julio, ex Direttore Rete Telecom Italia, Girolamo di Genova, ex Direttore Mercato Business Telecom Italia, Piero Bergamini, ex Direttore Mercato Retail Telecom Italia, Roberto Pellegrini, ex Direttore Commerciale Tim: “Riteniamo giunto il momento di una nostra voce, dettata non da un vecchio affetto che potrebbe farci velo, ma solo dalla conoscenza e dalla competenza, che tuttora rivendichiamo”.

“Separare il servizio dalla rete, significa indebolire non solo l’incumbent, ma tutto il sistema delle Tlc italiane, già superaffollato. Insomma, chi chiederebbe alle Ferrovie di dare proprietà diverse a Rfi e a Trenitalia? In una rete ferroviaria, l’intelligenza è distribuita capillarmente lungo la rete, per ragioni ovvie di servizio e di sicurezza. Ma il tema è lo stesso per le Tlc, che hanno nella rete non solo capacità, ma intelligenza, in continua evoluzione ed adattamento, per i servizi”, si legge nel testo in cui si evidenzia anche il “problema della scarsa qualità nei servizi erogati dalle Tlc italiane”. “L’utente – impresa o privato cittadino – non ha più l’ombrello protettivo dei Kpi (Key Performance Index), che imponevano sia tempi rigorosi in qualsiasi intervento, che qualità misurata nei singoli servizi. Anche questo decadimento è figlio di Authorities italiane che hanno spinto la proliferazione della concorrenza in Italia, in maniera anomala ed esagerata rispetto alle effettive esigenze del mercato”.

Gli ex manager ricordano che l’incumbent italiano è l’unico privatizzato, tra i maggiori operatori europei (esclusa l’Inghilterra). Orange (ossia France Telecom) è al 30% in mano allo Stato; DeutscheTelekom è al 60% in mano allo Stato tedesco (anche tramite istituzioni bancarie); Telefonica è al 10% circa in mano a banche pubbliche spagnole, ma con un flottante dell’84%. “Questi incumbent vedono una attiva presenza dello Stato, a tutela del loro valore strategico. Telecom Italia/Tim, dalla frettolosa privatizzazione ha subito ben 7 passaggi di proprietà, per lo più totalmente “strani”, tutti senza una chiara strategia, spinti e guidati da banche d’affari. Nessuna azienda, anche non strategica, in Italia, ha subito “abusi” di questo tipo. La rete di accesso, tema di attualità, in tutta Europa presenta una prevalenza di 23 Paesi, tra cui Germania e Spagna, con rete integrata con i servizi; 5 Paesi, tra cui Francia e Italia, con la separazione funzionale della rete; 4 Paesi con la separazione societaria della rete, tra cui l’Inghilterra, che però ha a monte lo stesso azionariato, nelle 2 società, servizi e rete). Non si capisce perché l’Antitrust europeo sia in campo per imporre a Tim ciò che nessuno ha fatto, e farà, nell’Europa che per noi conta”.

I manager puntano il dito anche contro le autorità italiane “qualche Governo” – riferendosi evidentemente a quello di Matteo Renzi – “con la sollecitazione all’Enel di avviare Open Fiber, sulla base di Metroweb che, nel 2012 Tim non ebbe il coraggio di comprare, insieme a F2i”. E accendono i riflettori sulla “inquietante presenza di grandi fondi stranieri nelle due reti di accesso italiane. Un fondo, per sua natura, ha la politica delle rolling door: entra per valorizzare il proprio investimento, con Irr ben sopra il 10% annuo. In più, sulla stessa Tim incombe la più strana delle Opa, da parte di Kkr, già socio al 40% di Fibercop, la rete di Tim: Opa amichevole (come possibile?), senza limiti di tempo, senza un progetto. Separare il servizio dalla rete, significa indebolire non solo l’incumbent, ma tutto il sistema delle Tlc italiane, già superaffollato”.

L’appello va anche ai sindacati che hanno chiesto al presidente del Consiglio Mario Draghi di creare un tavolo a Palazzo Chigi e hanno convocato lo sciopero nazionale per il prossimo 23 febbraio: “C’è da augurarsi che questa volta le forze sindacali possano avere un confronto autentico col Governo, non tanto per negoziare su come contenere le ferite sociali, ma per chiedere ed ottenere il pieno recupero dell’incumbent delle Tlc in Italia”.

Per concludere “siamo del fermo parere che oggi il Governo debba dare grandissima attenzione all’industria delle Tlc del nostro Paese. Il successo della trasformazione digitale, e quindi del Pnrr, dipende dalla salute e dalla solidità del sistema Tlc, a partire da Tim. Le reti di accesso e i servizi di connettività sono la spina dorsale dell’economia digitale di oggi e ancor più del futuro”.

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