Il piano di Labriola per separare la rete dai servizi e raggiungere “risultati migliori”: la divisione sarà effettiva nel 2023. I dipendenti della rete passeranno da 21,4 a 15 mila. Sindacati in allarme per il rischio esuberi ma per l’azienda ci saranno solo uscite volontarie: sul piatto 250 milioni all’anno per gli incentivi

da repubblica.it

Telecom Italia si divide in due, con un piano intitolato “Beyond vertical integration” (oltre l’integrazione verticale tra servizi e infrastruttura), che punta a fare quello che nessuno ha mai osato finora: staccare la rete dai servizi dell’ex monopolista delle Tlc.

L’ad Pietro Labriola creerà una società, dove verranno confluiti i cavi sottomarini di Sparkle, una parte del backbone, la rete primaria e quella secondaria di Fibercop. Un gruppo che a fine 2021 poteva contare su 5,3 miliardi di ricavi e 2 miliardi di margine lordo, e che senza aumentare le tariffe – ma aumentato la penetrazione ei clienti finali, al 2030 dovrebbe avere 5,3 miliardi di ricavi e un margine lordo pari al 50%, o 2,7 miliardi. Il gruppo degli investimenti saranno fatti nell’arco dei prossimi 3 anni, fino al 2025, quando le aree grigie e la fibra raggiungerà la maggior parte dell’Italia (anche se la copertura arriverà solo al 2028).  In questo società dovrebbero essere trasferiti fino a 11 miliardi di debiti e poco meno di 22 mila degli attuali dipendenti. La rete che a fine 2021 aveva 21.4 mila addetti, a fine 2030 dovrebbe avere 15 mila dipendenti (anche grazie alla progressiva sostituzione del rame con la fibra),  una procedura  di scivoli volontari per cui sono previsti 140 milioni di costi straordinariall’anno. “Separare la rete è la decisione più importante – ha detto Labriola- il mercato  italiano rispetto alla media Ue è sottopenetrato sia sulla banda larga che ultralarga: siamo ottimisti, c’è un grande potenziale di crescita non sfruttato”.

La società dei servizi sarà invece divisa in tre, i servizi dedicati alle grande aziende, dettiEnterprieCo, ovvero cloud, Iot, cybersecurity, e quindi Olivetti, Noovle e Telsy,da cui è attesa la crescita maggiore. I ricavi che a fine 2021 erano pari a  3 miliardi, saliranno a 5 miliardi a fine 2030, anche grazie alla probabile aggiudicazione della gara del Psn per migrare al digitale i servizi della pubblica amministrazione (2,7 miliardi di ricavi attesi in dieci anni). Il margine lordo della divisione grandi clienti dovrebbe raddoppiare dagli 0,9 miliardi di fine 2021, agli 1,7 miliardi del 2030 , questa divisone a fine 2021 occupava 5,3 mila dipendenti che dovrebbero salire a quota 6mila al 2025.​

La società dei servizi alla clientela, chiamata ConsumerCo,rappresenta invece la sfida più grande data l’agguerrita concorrenza e raggrupperà insieme le attività di Tim fisso e  mobile, Kena e Timvision.Tim stima che dopo la flessione dei ricavi attesa fino al 2024, il mercato si stabilizzi tornando a aumentare sia margini che redditività : i ricavi che a fine 2021 erano pari a  6,8 miliardi, sono attesi a 6,4 miliardi a fine 2025, ma per allora il mol dovrebbe salire da 1,2 a 1,3 miliardi, nonostante la separazione della rete dia a questa società costi maggiori legati all’accesso, ma anche più flessibilità sulle tariffe e sul modello di business. I dipendenti che erano 14mila a fine 2021, nel 2030 scenderanno a  quota 11mila. Una volta separata la rete, e ceduta una quota di minoranza dell’EnterpriceCo, Labriola stima debiti inferiori a 5 miliardi.
Un ridisegno complessivo che nei mesi scorsi aveva messo in allarme i sindacati per il possibile rischio esuberi. Questione però che secondo l’azienda non si pone perché intende gestire l’eventuale riduzione di personale soltanto con uscite volontarie. Nel nuovo piano tra  le vari e diverse divisioni, sono infatti previsti fino a 250 milioni di costi straordinari all’anno per questi incentivi e un taglio dell’organico di 9.200 persone a fine 2030.
Infine Tim Brasil, che è già oggi la società più profittevole in Sudamerica, continuerà il suo percorso di crescita accelerando grazie all’integrazione di Oi, che è effettiva dal secondo trimestre di quest’anno.  Solo l’integrazione di Oi, secondo le stime del piano di Labriola, consentirà al gruppo di creare tra 8,7  e 11,7 miliardi di reais di valore.

Il piano che viene approvato oggi,  verrà implementato con lo scorporo della rete – che dovrebbe completarsi nel 2023, mentre l’eventuale fusione con  Open Fiber necessita del via libera delle autorità competenti atteso entro 15-18 mesi dalla firma dell’accordo con Cdp, per cui è stata firmato una lettera d’intenti non vincolante.  L’offerta vincolante è attesa entro fine ottobre.  Per Tim la creazione di una rete unica con Open Fiber, e quindi la vendita della società della rete resta “l’opzione prioritaria” da preferire, ma solo se le valutazioni fossero “interessanti”, altrimenti la società è pronta a procedere con lo scorporo ed esplorare soluzioni alternative. Secondo alcune perizie esterne, dato il piano industriale, la rete di Tim ha un valore d’impresa di almeno 25 miliardi. Il primo azionista di Telecom Vivendi (24% del capitale), ha invece lasciato intendere che è disposto a dare il suo placet alla vendita  della rete solo a una valutazione di 31 miliardi. Ma c’è anche un piano B, coem cedere una quota di minoranza di una Netco a un altro partner, una volta scorporata la rete.


“Con questo piano coraggioso- ha detto l’ad Labriola – vogliamo dimostrare che ogni attività separatamente, può crescere ed essere autonoma, ottenendo risultati migliori e creando più valore per tutti gli azionisti”.

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