di Roberto Rotunno

Che la sua proposta sul salario minimo non sia “la soluzione di tutti i problemi legati al trattamento retributivo” lo sa anche il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che ieri lo ha ribadito in Parlamento. Mercoledì ha comunicato ai sindacati che non intende introdurre una cifra minima oraria per legge, ma vuole limitarsi a estendere, a tutti i lavoratori, le condizioni previste dai contratti collettivi più diffusi. Questo, però, non sarà sufficiente a eliminare la piaga delle paghe indecenti; a volte previste anche dagli accordi stipulati dalle sigle più rappresentative di Cgil, Cisl e Uil, specialmente nei settori più deboli.

Stiamo lavorando a una sintesi”, ha spiegato il ministro, aggiungendo che la base di partenza “consentirebbe di dare risposte concrete a oltre un milione di lavoratori attualmente non coperti da contratti collettivi siglati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, ai quali dobbiamo aggiungere ulteriori 1,5 milioni di lavoratori sommersi, che lavorano in nero”. L’equazione di Orlando appare bizzarra: non è chiaro in che modo il suo disegno possa automaticamente aiutare gli addetti irregolari, dato che già oggi chi lavora in nero può denunciare il suo datore e far sì che un Tribunale costringa l’impresa ad applicare il giusto contratto collettivo.

Il problema è che accanto agli accordi “pirata” – firmati da condiscendenti sindacati fantoccio – ci sono i “corsari”: sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil, ma con stipendi molto bassi. Questi continuerebbero a esistere – anzi, riceverebbero la consacrazione per via legislativa – se passasse la proposta Orlando. L’esempio classico è quello di vigilanza privata e servizi fiduciari; scaduto da sette anni, indica il minimo salariale di appena 4,60 euro l’ora per i vigilanti non armati. Il contenuto di un contratto collettivo è il risultato di rapporti di forza tra associazioni di imprese e rappresentanti del mondo del lavoro. Quando il potere negoziale del sindacato è basso, questo si ripercuote a danno di chi lavora. Non è il caso dei metalmeccanici, che ormai da tempo riescono a strappare buone condizioni. Ma il lavoro povero continua a essere cristallizzato in molti contratti dell’agricoltura, dei trasporti e dei servizi. Nella piccola industria alimentare, l’accordo firmato dalle sigle di Cgil, Cisl e Uil prevede 785 euro al mese per gli addetti alla panificazione industriale. Le categorie più basse dei dipendenti di cooperative di trasformazione dei prodotti agricoli partono da 1.015 euro al mese. Il contratto nazionale del lavoro domestico, con il via libera dei sindacati, riporta 4,83 euro l’ora per i collaboratori non conviventi. È il motivo per cui, se dovessero introdurre un salario minimo legale da 9 euro l’ora – come suggerisce il disegno di legge di Nunzia Catalfo, ex ministra del Lavoro M5s – bisognerebbe adeguare gli stipendi del 90% di colf e badanti. Poco più di 900 euro prevedono i contratti siglati dalle categorie dei trasporti dei tre principali sindacati per le imprese di noleggio e per gli addetti del trasporto a fune. Fermo a un trattamento minimo di 729 euro il “Ccnl per i dipendenti da imprese esercenti il noleggio autobus con conducente e le relative attività correlate”. Il Ccnl per il personale dipendente da Società e consorzi concessionari di autostrade e trafori prevede 1.081 euro alle fasce meno qualificate. Nei chimici, l’accordo delle imprese che lavorano il vetro si ferma a 955 euro per le qualifiche più basse.

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