da infosec.news

Scene (sur)reali da un ufficio di oggi, appena rientrati in presenza in una sede lavorativa. Una grande sala arredata in modo semplice: tavoli, sedie e armadietti con la chiave. I tavoli sono suddivisi in piccoli loculi attrezzati con monitor, in cui ogni dipendente può collegare il proprio PC, sistemarsi la cuffia e… lavorare.

Questo consiste, tipicamente, nel collegarsi ad una sequenza di videocall senza soluzione di continuità (“scusate, vi saluto che mi inizia un’altra call”), che però appare poco video e molto call: i partecipanti appaiono come delle lettere (le iniziali del proprio nome) visibili sullo schermo. Per chi ha inserito la foto sul profilo si può vedere qualcosa che assomiglia al suo proprietario.

Nella sala echeggiano le voci di chi sta parlando, e da qui si comprende che la stessa voce riemerge -con il classico ritardo dello streaming- da un altro PC collocato in un altro punto dell’ampia sala. Di fatto la videocall è una riunione di persone che sono quasi tutte vicine, sprofondate nel proprio loculo, ma ognuno parla al suo microfono (“parla più piano che mi disturbi”), ascolta con la sua cuffia o dal monitor (“abbassi il volume per favore?”), fermo nel suo loculo (ma se si alza e se ne va non se ne accorge nessuno, in effetti), sguardo fisso al proprio PC…

Insomma, è come lo “smartworking”.

Ma in ufficio, e non da casa!

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