da ilfattoquotidiano.it

Inizia oggi la seconda settimana di sperimentazione della settimana corta per i dipendenti di Mondelez International, multinazionale americana che in Italia gestisce Oro Saiwa, Milka, Philadelphia e Fattorie Osella. Il venerdì, 250 lavoratori milanesi, possono uscire alle 13 a parità di orario di lavoro (39 ore settimanali) e di stipendio. L’accordo, stipulato con i sindacati, è sperimentale e dura un anno. Un’iniziativa che, tuttavia, resta molto lontana dalle altre realtà in giro per il mondo, dove il motto “lavorare meno, lavorare meglio” è qualcosa di più di un mantra. Dall’Islanda alla Spagna, dal Belgio fino al Giappone sono, infatti, diversi i casi di sperimentazione della settimana lavorativa di 4 giorni anziché 5, anche per cercare di capire se con un minor tempo passato in fabbrica o in ufficio sia possibile raggiungere un migliore equilibrio tra il benessere dei dipendenti e la produttività.

Così, anche su spinta dei buoni risultati raggiunti dallo smart working durante la pandemia, la settimana corta sta entrando nelle riforme del lavoro islandese e spagnola. L’introduzione della settimana corta in Belgio è stata annunciata come una vera e propria rivoluzione: “Progressi concreti per tutti i lavoratori!”, ha commentato il ministro del Lavoro e dell’Economia Pierre-Yves Dermagne, introducendo le novità dell’intesa raggiunta. In Spagna il modello è già applicato alla Desigual (moda) o alla Software Deisol (tecnologia). Anche se il faro resta l’Islanda. Dopo aver sperimentato la settimana breve tra il 2015 e il 2019, il governo di Reykjavik l’ha fatta diventare legge con costi aziendali ridotti, produttività aumentata, maggiore soddisfazione dei soggetti coinvolti, più tempo per la famiglia e per l’esercizio fisico. Notevole è anche l’esempio che arriva dal Giappone, dove si muore per il troppo lavoro: nella sede di Microsoft, 2.300 dipendenti un paio di anni fa hanno testato la settimana lavorativa corta con un aumento della produttività del 40% e costi aziendali ridotti.

E l’Italia? Fino ad oggi sono rarissime le aziende che hanno promosso la settimana corta, con la politica più che mai disinteressata, nonostante sia da sempre una delle battaglie di Beppe Grillo, che un paio di mesi fa dal suo blog ha rilanciato la proposta di far entrare nel dibattito politico la settimana lavorativa di 4 giorni, anche come soluzione alle troppe dimissioni volontarie che si stanno registrando soprattutto tra le lavoratrici per l’impossibilità di coniugare famiglie e lavoro.

Del resto l’ultima proposta concreta di riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore la fece Rifondazione Comunista un quarto di secolo fa, mentre in Italia – secondo l’Ocse – si continua a lavorare molto di più che nel resto d’Europa, (peggio solo Grecia ed Estonia). Un dato che, tuttavia, poi non corrisponde affatto a una crescita dei livelli di produttività e dei salari. Intanto va ancora risolta la questione del lavoro agile: assecondare l’ostilità del ministro Brunetta o consentire che lo smart working diventi strutturale e rappresenti una “leva per riconfigurare l’organizzazione delle P.A., per la digitalizzazione e per una complessiva riforma dei servizi, nell’ottica di attuazione del Pnrr”, come chiedono i sindacati?

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