Il piano della rete unica cosi come concepito non funziona. Ci vuole invece qualcosa di nuovo e di diverso, qualcosa che sia in grado di risolvere tutti i problemi sul tappeto ed aprire una nuova fase di crescita. Ecco quali sono le cose da evitare.
da key4biz.it
La presentazione del nuovo piano di TIM della scorsa settimana è stata deludente. E non per gusti personali. Non è piaciuto per nulla neanche alla Borsa. Il titolo di Telecom Italia è rimasto inchiodato: continua sempre ad oscillare tra 0,25 e 0,26 ed ha perso circa il 43% del valore dall’inizio dell’anno, il che pesa come un macigno per una azienda che dice di volger lo sguardo al futuro…
Le difficoltà di TIM, le difficoltà di Open Fiber
È chiaro che la proposta di TIM non convince. Anzi non funziona. Ed è altrettanto chiaro che l’intera vicenda si sta nuovamente impantanando, marciando dritta verso l’ennesimo binario morto.
Serve allora un nuovo piano. Serve qualcosa di completamente diverso.
Certo, per TIM non è stata d’aiuto “la grana Open Fiber” che è esplosa in questi ultimi mesi. Inaspettatamente l’azienda che Cassa Depositi e Prestiti (CDP) contava di utilizzare come perno dell’operazione “rete unica” è entrata in crisi per le insufficienze gestionali del nuovo vertice, che stanno facendo accumulare all’azienda pesanti ritardi nelle Aree bianche, ritardi che quasi certamente non consentiranno di concludere i lavori delle Aree grigie nei tempi previsti dal PNRR. Una vicenda, questa, su cui anche in UE iniziano a mostrare preoccupazione.
Ma vediamo perché il piano presentato da TIM non può funzionare.
1 Open Fiber non può essere il perno dell’operazione
Va innanzitutto rilevato, come detto, che Open Fiber non può più essere il perno dell’operazione per dimostrata incapacità gestionale. Purtroppo dobbiamo ammettere che Open Fiber non ha più la credibilità per gestire un’operazione di tali dimensioni.
2 TIM non può privarsi della rete
Non è pensabile che TIM (l’incumbent nazionale) perda la rete. Sarebbe l’unico operatore europeo a non avere più una rete. E TIM è l’unica azienda che ha le competenze per gestirla. E TIM senza rete non sarebbe nulla: come avere un ristorante senza la cucina e senza cuochi.
3 Non si possono licenziare 10.000 persone senza un se e senza un ma
Non sono accettabili (e vanno quindi rinviati al mittente) i quasi 10.000 licenziamenti di lavoratori TIM, a fronte della messa a disposizione a favore della rete (quindi di TIM) da parte del governo dei soldi pubblici previsti dal PNRR. Parliamo di oltre 5,5 miliardi di euro, cui si aggiungono fondi nazionali e regionali preesistenti e la garanzia (tramite SACE), questa solo a favore di TIM, per una linea di credito da 2 miliardi di euro. C’è solo da sperare che i sindacati si facciano sentire e si oppongano con tutta la loro forza a tale scempio.
4 Non si può vendere la rete in rame a quei prezzi. Tra quattro anni avrà un valore pari a zero
Non si può strapagare la vecchia rete in rame di TIM. Le cifre lette sulla stampa lasciano interdetti. Stiamo parlando di una rete che dovrebbe essere completamente dismessa, per essere sostituita con una rete completamente in fibra entro il 2026, secondo quanto annunciato con le fanfare dal ministro Vittorio Colao. Fa quindi sorridere la richiesta di Vivendi, secondo cui il valore dell’attuale rete è di 31 miliardi di euro. Certo circolano anche cifre inferiori: eravamo partiti da 16 miliardi, poi 18, poi 20, quindi 25, ma si tratta di numeri del tutto superiori al valore reale dell’attuale rete. Ma c’è di più. Come si fa ad ipotizzare a 31 miliardi di euro il valore di un asset come la rete, quando il valore complessivo sul mercato dell’azienda che lo possiede è di circa 4 miliardi di euro, se si considerano le sole azioni ordinarie. A questo punto, anche la valutazione della rete appare un ostacolo insormontabile e contribuisce a svuotare il senso della proposta di TIM.
5 La vendita della rete? Un’operazione finanziaria e non industriale
Cassa Depositi e Prestiti (CDP) sarebbe costretta a mettere mano al portafoglio per sborsare diversi miliardi di euro per la vecchia rete in rame di TIM, che come detto sarebbe poi dismessa di qui al 2026. Il che vorrebbe dire che questo esborso è valutato in chiave esclusivamente strumentale, solo per ripianare il debito pregresso, senza apportare alcun altro valore all’azienda.
6 Non privare l’Italia di un mercato aperto e competitivo
Secondo quando emerge dall’MoU siglato tra CDP e TIM rimarrebbero le discriminazioni rispetto ad altri operatori. La NetCo sarebbe autorizzata, con la scusa degli sconti a volumi da praticare a SerVCo (la società di servizi di TIM), a tariffe più basse rispetto a quelle applicate agli altri operatori, che si vedrebbero cosi messi all’angolo ed avrebbero difficoltà a competere ad armi pari sul mercato.
7 Non si può mantenere inutilmente nel perimetro aziendale anche TIM Brasil
Secondo il MoU, TIM continuerebbe ad operare in Brasile con TIM Brasil, dove sono richiesti notevoli investimenti per la nuova rete 5G. Soldi che TIM non ha. Non si capisce inoltre quali siano le sinergie tra Italia e Brasile che spingerebbero a mantenere nel perimetro TIM Brasil e in effetti, non si capisce semplicemente perché non vi sono ragioni plausibili. Altro che gallina dalle uova d’oro…
La conclusione è facile. Il piano della rete unica cosi come concepito non funziona.
Ci vuole invece qualcosa di nuovo e di diverso, qualcosa che sia in grado di risolvere tutti i problemi sul tappeto ed aprire una nuova fase di crescita.
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