Peter Gomes 25 MAGGIO 2022

Le cronache politiche narrano che in qualche sperduta commissione del
Senato i nostri parlamentari si sono messi finalmente a dibattere di
salario orario minimo garantito. La discussione, ancorché giusta, è
perfettamente inutile. Tutti sanno che in questa legislatura non ci sono
più i tempi per approvare una norma analoga a quella già in vigore in
altri 21 Paesi d’Europa e pensata per evitare gli stipendi da fame. Arrivati
a questo punto, la promulgazione della legge sarebbe possibile solo se il
governo facesse proprio il provvedimento sull’aumento dei salari
arrivando anche a minacciare il voto di fiducia. Il premier Mario Draghi
si è però sempre tenuto al largo dalla questione. L’idea di fissare un
importo orario sotto il quale nessuna retribuzione può scendere non
piace ai sindacati e non piace nemmeno agli imprenditori. I primi
temono di perdere potere, venendo estromessi da molte contrattazioni. I
secondi sono felici di continuare a pagare pochissimo in molti settori i
loro dipendenti. I partiti della maggioranza non sono poi uniti. C’è chi è
contro e c’è chi è a favore e c’è chi si divide sul come arrivare a fissare
l’importo orario. In queste condizioni, Draghi ha gioco facile a fare
spallucce. Perché cacciarsi in un altro ginepraio quando già stenta a
uscire dalle discussioni sui balneari e dalla questione catasto?
Eppure, se si vuol essere onesti, bisogna ammettere che la questione
salariale in Italia è molto più importante e urgente rispetto alle altre due.
Nel Paese vi sono quattro milioni e mezzo di lavoratori che guadagnano
meno di 9 euro lordi l’ora. Due milioni e mezzo sono addirittura sotto gli
8 euro, mentre quasi non si contano i contratti pirata, in genere firmati
da sigle sindacali semisconosciute, che prevedono retribuzioni anche
sotto i cinque euro e mezzo.
Negli ultimi mesi questo quadro fatto di stenti, fatica e povertà è
ulteriormente peggiorato. L’inflazione viaggia oltre il 6 per cento e forse
a settembre toccherà il 10. In media l’aumento delle bollette costa 1.500
euro a famiglia. È evidente per tutti che la situazione non è sopportabile
da chi si porta a casa anche meno di 900 euro al mese. È stato calcolato
che fissare il salario minimo garantito a nove euro lordi l’ora (dal 1º
ottobre in Germania non si starà sotto i 12 euro) metterebbe in tasca ai
lavoratori indigenti 1.037 euro l’anno. Per loro la differenza tra la vita e
la morte.
Bene, va preso atto che in Parlamento e al governo c’è chi per i poveri sta
scegliendo la morte. Ora, noi qui capiamo tutto. Ascoltiamo ogni punto
di vista. Sappiamo che il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha
certamente ragione quando spiega che la situazione è politicamente
complicata e che se approvare il salario legale fosse stato semplice la
riforma sarebbe già stata votata durante il governo giallorosso. Ma anche
alla nostra comprensione c’è un limite. Quello fissato dalla giustizia
sociale e dalla decenza.
È francamente incredibile che, vista la recessione prossima ventura, la
questione salariale non esca dalle commissioni parlamentari per
diventare il vero tema politico del momento. I 5stelle che hanno
proposto per primi la norma perché non salgono, come facevano un
tempo, sui tetti del Parlamento? Perché LeU e Pd non sfidano
pubblicamente Fratelli d’Italia e la Lega su questo punto? Paura dei
sindacati? Degli imprenditori? Dei giornali? Ciascun lettore può
rispondere come crede. Ma l’importante è che, quando si andrà alle
urne, non dimentichi e si regoli di conseguenza.

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